Beni confiscati, Panvino: “Liberarsi dal malaffare”

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“Riusciremo a mettere cosa nostra in un angolo”, lo ha detto ieri Renato Panvino, capo centro della direzione distrettuale Antimafia di Catania intervenendo all’incontro “beni confiscati alle mafie e prospettive di riforma”.

Panvino è uno dei protagonisti, insieme al Procuratore Patanè, del cosiddetto “modello Catania” di gestione dei beni confiscati, che ha sottratto alla criminalità organizzata centinaia di milioni di euro. Il convegno svoltosi all’Excelsior è stato promosso dall’Asaec (associazione anti estorsione di Catania “Libero Grassi”), e ha visto oltre a Panvino la partecipazione di importanti personalità dedite al contrasto delle attività illegali e del crimine organizzato, delle istituzioni e del panorama giuridico; Fra cui Bruno Di Marco, presidente del tribunale etneo, Rosario Cuteri, presidente sezione prevenzione del tribunale e Pucci Giuffrida, amministratore giudiziario. A moderare il giornalista del quotidiano “La Sicilia”, Concetto Mannisi.

Una volta catturati i delinquenti si pone il problema della gestione delle confische, una questione tutt’altro che semplice e difficile da sintetizzare. L’incontro è stato, difatti, occasione per fare il punto e un’analisi, perché il tema è scottante. Lo è specie a margine dei recenti fatti di Palermo in cui a finire sotto inchiesta sono stati diversi nomi di amministratori giudiziari, fra cui ormai l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto.



Panvino, inoltre durante il suo intervento si è soffermato sulle numerose attività condotte dalla Dia da dieci anni a questa parte a Catania. “Ventuno anni di Dia, sono stati ventuno anni di antimafia. – ha proseguito – Con le ultime attività condotte siamo riusciti a sequestrare beni la cui gestione era direttamente nelle mani di un soggetto molto vicino al clan del Calatino. Attraverso una minuziosa attività investigativa abbiamo ricostruito tutti i passaggi societari e gli investimenti compiuti risalendo al patrimonio anche periodo successivo alle indagini e alla condanna”.

Ma in tutto questo occorre il contributo di tutti, ribadisce Panvino, “Della coscienza civile che vuole liberarsi dal malaffare. Oggi si continua ad avere un’immagine antica del mafioso, quello con la coppola e la lupara. In realtà, la mafia ha fatto grandi passi ed è riuscita a mimetizzarsi bene, inserendosi in tutti i sistemi economici. Il compito di un organo investigativo è proprio quello di individuare queste cellule per liberare i mercati ed eliminare la concorrenza sleale. L’amministrazione giudiziaria dei beni confiscati – conclude Panvino – non è certamente facile”. 

Ma durante l’incontro a sorpresa l’Asaec consegna il premio di socio onorario a Padre Resca di CittàInsieme, il quale sottolinea come si debba maggiormente salvaguardare i posti di lavoro delle aziende confiscate. Una volta sequestrare esse finiscono poi quasi sempre per fallire, “Gli amministratori giudiziari non sono degli imprenditori”– afferma Pucci Giuffrida. Da anni impegnato nella gestione dei beni sequestrati alle mafie, Giuffrida evidenzia come occorra intervenire al più presto con delle modifiche sostanziali alla legge al fine di evitare l’esito negativo a cui spesso sono soggette le attività d’amministrare.

E avanza proposte pragmatiche. “Io credo che serva affiancare all’amministratore giudiziario un manager che segua l’azienda. Sicuramente noi amministratori siamo capaci di leggere bilanci o di analizzare certi flussi di denaro, ma non siamo imprenditori. Non è il nostro lavoro, – precisa – occorre un direttore commerciale a fianco che gestisca l’attività al fine di evitare che tutte queste aziende falliscano e che si lascino conseguentemente senza lavoro delle famiglie”. Ma secondo Giuffrida, nelle attività di sequestro è necessario soprattutto puntare al grosso, cioè confiscare solo le attività economiche più rilevanti. “Basta con i sequestri delle micro-aziende. – continua – Finiranno solo per fallire, perché sono impossibili da gestire. Non serve assolutamente a nulla, così come non serve a nulla sequestrare un piccolo motorino, fanno solo perdere tempo. Ai costi della legalità, devono seguire i ricavi della legalità” – conclude Giuffrida.

Importanti e puntuale la chiusa del presidente del Tribunale Di Marco. “Lo scopo dell’ordinamento è di risanare e legalizzare un mercato inquinato dalla presenza di attività economiche che non rispettano le regole. Correttezza, legalità e lealtà costano. – ha precisato – Ma bisogna introdurle nel circuito economico proprio per liberarlo da quelle strutture che non operano in maniera pulita. Il momento della gestione dei beni è assai complicato, poiché si trova a fare i conti con le regole delle concorrenza leale. Capisco e comprendo le proposte di Giuffrida, in merito ad un percorso preferenziale per le aziende sequestrate ma in realtà se quelle devono essere valutate con un occhio di riguardo dall’ordinamento, da l’altro devono confrontarsi in egual maniera con le aziende che hanno sempre operato nella legalità e che pretendono che le regole del mercato siano le stesse per tutti. Senza dimenticare che il fenomeno dell’evasione sia altrettanto inquinante”.

Di Marco, caldeggia poi un maggiore senso di responsabilità da parte della collettività nei confronti del contrasto all’illegalità. “E’ un discorso di consapevolezza, – ha aggiunto – le denunce da parte di chi subisce estorsione sono ancora solo una minima parte rispetto al fenomeno. La società civile deve assumersi le sue responsabilità, trovando la forza e il coraggio di reagire. Per radicare il fenomeno serve la collaborazione della società”. Di Marco, infine, commenta la vicenda che ha coinvolto la magistratura palermitana. “Sono fatti drammatici e impensabili. – afferma –. Nessuno tra noi magistrati poteva mai concepire che si annidasse un crogiuolo di illegalità, collusione e corruzione proprio all’interno di istituzioni che viceversa dovrebbero garantire la massima chiarezza e trasparenza. E’ stato un duro colpo per la magistratura. Ci auguriamo che il problema non finisca nel dimenticatoio, ma al contrario si continui a parlarne”.

( Erika Intrisano – Live Sicilia, Sabato 28 Novembre 2015 )