RIFLESSIONI

Quale modello attribuire al movimento antiracket ed antiusura oggi in Italia?

L’arresto del presidente di un’associazione antiracket catanese ha rappresentato, senza dubbio, un arresto “eccellente” che fa riflettere.

Infatti, se da un lato ha minato fortemente la credibilità e la dignità di chi crede in questa forma di associazionismo, dall’altro, è stato il preciso segnale che le istituzioni sono in grado di predisporre meccanismi utili ad espellere corpi malati per garantire e mantenere quella fiducia che permette al cittadino di affidarsi e di credere ancora nello Stato.

La questione di fondo sulla quale soffermarsi è: quale modello attribuire all’associazionismo antiracket ed antiusura oggi in Italia?

Diverse possono essere le possibili alternative: un primo modello è quello che è andato affermarsi fin dalla fine degli anni novanta e che ha visto sulla scena un’ antimafia c.d. “pon – pon” di facciata, degli sportelli affiliati Fai (Federazione Antiracket Italiana) nati a migliaia sul territorio nazionale grazie ai vari Pon sicurezza, dei premi, delle coppe, affarista, populista, tronfia di proclami retorici ben predisposta a quel “compromesso morale” – anticamera dell’indifferenza, contiguità e complicità – è sempre più base per relazioni pericolose e che avrebbe avuto la massima espressione in Antonello Montante, paladino di una sedicente antimafia dell’ultima ora, creatore di un sistema omonimo, destinatario di “patenti antimafia” rilasciate con troppa disinvoltura dall’allora ministro agli Interni Cancellieri che lo definì “apostolo che nel deserto ha alzato la voce contro il racket delle estorsioni”, delegato per la legalità di Confindustria Nazionale e convinto sostenitore dell’ora di legalità nelle scuole con un doppiopetto costellato di spillette e medaglie targate antimafia, ora sotto processo per associazione a delinquere e corruzione.

Una secondo modello, certamente meno aggressivo, ma molto chiacchierato perché ubbidiente ed addomesticato, sottomesso alle benevolenze di molti, che individua colui che si avvicina per chiedere aiuto più come un “cliente” a cui sottoporre servizi piuttosto che una persona cui offrire conforto e sostegno, strenuo difensore della necessità di attingere a finanziamenti pubblici al fine di offrire un buon servizio e nelle cui maglie hanno potuto proliferare tornacontismi personali ed economici, è quello che parrebbe emergere dalle indagini che hanno portato all’arresto del presidente del Associazione Siciliana Antiracket Salvatore Campo il quale sembrerebbe aver chiesto delle percentuali rispetto alle pratiche curate per i suoi assistiti; ma possiamo anche ricordare la vicenda che ha coinvolto l’associazione Antiracket Salento guidata dalla presidente Maria Antonietta Gualtieri e tante altre ancora.

Ma esiste anche un terzo modello che cerca di riproporre pratiche virtuose che si erano manifestate vincenti sin dai primi degli anni novanta, cioè fin dalla nascita del movimento antiracket.

Un associazionismo che, recuperando l’idea fondante di Libero Grassi, rappresenti un luogo dove, imprenditori e commercianti che hanno vissuto vicende estorsive, possano offrire – a loro volta – sostegno e conforto nei confronti di coloro che decidano di intraprendere un percorso simile di emancipazione rispetto la morsa dell’estorsione; dove l’accompagnamento di un imprenditore verso la denuncia e per tutto il suo iter processuale rimanga uno dei requisiti fondamentali; dove il contributo svolto dai soci e dai loro dirigenti, sia fondato sui principi inscindibili ed inviolabili di volontariato e gratuità.

Come Associazione Antiestorsione di Catania nata nel 1991 all’indomani dell’uccisione dell’imprenditore Libero Grassi e proprio da un gruppo di imprenditori e commercianti che si erano ribellati al pizzo, abbiamo sempre cercato di mantenere vivo proprio quest’ultimo modello, difendendolo e promuovendolo ad ogni occasione.

C’è molto lavoro da fare, le denunce sono in calo e questo impone seriamente una riflessione sulla reale efficacia dell’azione antiracket.

È l’intero movimento antiracket che necessità di un profondo ripensamento.

Per questo stiamo cercando di riproporre proprio quel modello che si riappropri della sua primaria funzione di antimafia di strada, volontaria e gratuita.

In quest’ottica, ben consapevoli dell’uso distorto nell’utilizzo dei fondi pubblici destinati alle associazioni antiracket e dell’inutilità di questi finanziamenti che, piuttosto, sarebbero più utili se indirizzati alle forze dell’ordine o direttamente alle stesse vittime, siamo partiti dalla proposizione di un ddl regionale di modifica all’art. 17 della legge regionale 20/99 – diventato legge a luglio u.s. – che ha ristretto di molto i criteri attraverso i quali le associazioni antiracket possano eventualmente richiedere finanziamenti.

A livello nazionale si impone una ragionata revisione dei cardini legislativi fondanti del sostegno alle vittime del racket e dell’usura relativamente alle leggi 44/1999 e della 108/96 e della 512/99.

Ma soprattutto è necessario rivedere i decreti ministeriali che stabiliscono i criteri che consentono alle associazioni antiracket ed usura l’iscrizione ed il mantenimento nell’albo della prefettura, oggi potrebbe contribuire ad invertire la rotta, conducendo verso un associazionismo più ancorato alla sua originaria funzione di sostegno e conforto alle vittime.

Ma tanti altri sono gli appuntamenti di prossima scadenza e sui quali è bene porre l’attenzione per cercare di innescare un cambiamento; innanzitutto la nomina del nuovo Commissario Nazionale per il Coordinamento delle iniziative Antiracket ed Antiusura in scadenza e del relativo Comitato di Solidarietà.

Un rinnovo che potrebbe essere l’occasione anche per modificare i criteri – individuati attualmente dall’ultimo decreto del Ministero degli Interni del 31 maggio 2016 – attraverso i quali scegliere i tre componenti rappresentanti del mondo associativo da tempo ormai esclusivo appannaggio delle associazioni ed organizzazioni antiracket e antiusura di rilevanza nazionale quali la Federazione Antiracket Italiana F.A.I., S.O.S. Impresa e la Consulta Nazionale Antiusura “Giovanni Paolo II” Onlus.

Ed ancora, a livello regionale, il costituendo “Forum permanente contro la mafia la criminalità organizzata”, un nuovo organismo istituzionale che potrà essere luogo nel quale le istanze civiche di lotta al fenomeno mafioso potranno essere sostenute con più forza.

Infine, dobbiamo, poi, sostenere le azioni della magistratura e delle forze dell’ordine attraverso una grande opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, recuperando i rapporti con quegli imprenditori, commercianti ed artigiani che giornalmente combattono in silenzio la criminalità organizzata.

Se non riusciremo a fare tutto questo, se non riusciremo ad essere uniti verso un unico obiettivo, faremo un favore alle mafie, ed alla mafia dell’antimafia.

Questo rappresenta un preciso obbligo morale che ci proviene dalla grande eredità di coloro che sono morti combattendo la mafia ma anche ne confronti di tutti coloro che ancora oggi a testa alta si ribellano alla prepotenza della criminalità organizzata.

AS.A.E.C. ASSOCIAZIONE ANTIESTORSIONE DI CATANIA