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Esiste un consociativismo politico-mafioso?

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Esiste un consociativismo politico-mafioso?

La storia della Sicilia è fatta di molte ombre, dove coesistono mafia e settori pubblici deviati, coabitazione fra criminalità organizzata e sistema dei partiti.
La coesistenza di due poteri, quello legale e quello criminale, hanno determinato un sistema consociativo orientato alla distruzione della legalità e alla spartizione del denaro pubblico da un lato, famiglie mafiose con risorse economiche ingenti dall’altro, e quindi poste nelle condizioni di trattare e spartirsi il denaro pubblico.
Il consociativismo non ha coinvolto soltanto i partiti, ma le istituzioni, potere sindacale, giudiziario e finanziario; la cosiddetta società civile si è limitata ad una formale presa di distanza ma senza volere effettivamente entrare dentro la questione, non essendo estranea ai flussi di denaro.
Il degrado della politica meridionale e siciliana in particolare non è storia recente, ma è iniziato nell’immediato dopoguerra.
Nell’ottica di dotare il Sud di risorse economiche, venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno. Nell’arco di un decennio , dal 1950 al 1960, la Cassa per il Mezzogiorno approvò 169.202 progetti per un importo di 1.403 miliardi, dei quali 1.029 riguardavano progetti nel settore delle opere pubbliche e 374 il settore privato.
Contemporaneamente nasce il Piano INA-Case, con l’obiettivo di contribuire alla soluzione del problema degli alloggi a basso costo.
Catania diventa un cantiere, così come Palermo, il centro storico sventrato, un intero quartiere deportato; nasce il nuovo San Berillo, quartiere periferico, divenuto serbatoio per la criminalità organizzata, insieme a Monte Po e Librino.
Il consociativismo tra politica-imprenditori diventa un cancro e pone le basi per  il successivo accordo tra politica e mafia. Il voto di scambio non nasce adesso, è sempre esistito.
L’enorme flusso di denaro, non ha prodotto reale occupazione e non è riuscito a sanare gli squilibri sociali ed economici delle regioni del Sud, né a colmare il divario con le regioni settentrionali.
Le fortune economiche di molte imprese catanesi in edilizia hanno origine negli appalti per la costruzione di alloggi di edilizia pubblica. Il meccanismo era ben consolidato: aggiudicarsi l’appalto con i ribassi; costruire, consegnare gli alloggi agli IACP (Istituto Autonomi case Popolari), che non provvedevano all’immediata assegnazione agli aventi diritto e nelle more gli stabili intanto venivano vandalizzati; altro appalto per ricostruire gli alloggi danneggiati; alla fine i costi erano talmente elevati, da equiparare quegli alloggi a case di lusso. Interi quartieri costruiti senza le fogne, molti stabili a Librino (terreno argilloso) sono ancora privi di adeguato impianto fognario.
Per anni lo IACP  è stato centro di potere e serbatoio di  voti. Nessuno pagava il canone di locazione e, al momento del voto, gli assegnatari  venivano sempre contatti contattati.
Le elezioni, sia politiche che amministrative, in una città come Catania, sono state decise nei quartieri popolari (Librino- Monte Po, San Giorgio) ed lì che la mafia e/o la criminalità organizzata ha sempre deciso  chi favorire.
Bisogna conoscere il passato per poter capire il presente.
Con il cosiddetto risanamento del quartiere San Berillo è stato istituito l’”Istituto San Berillo” che aveva in proprietà e gestione moltissimi alloggi realizzati nel quartiere San Leone, il nuovo San Berillo. Per cinquant’anni questo Istituto è stato gestito sempre dagli stessi personaggi.
Altra spinosa questione è la cosiddetta area industriale di Catania, o meglio quello che doveva essere la zona industriale. In realtà è stato l’ennesimo esempio di connivenza politica-impresa per attingere ai fondi e all’assegnazione delle aree e poi abbandonare tutto.
Politica e Impresa, questo indissolubile connubio è alla base del fallimento economico di Catania.
Dunque un flusso di denaro che non creò nessuna capacità imprenditoriale ma soltanto arricchimento e un’economia speculativa, ponendo le basi per il radicamento delle mafie anche nella sicilia  orientale.
Il confine tra legalità e illegalità è assai esile: qui tutto si compra e tutto si vende e l’etica da tempo è latitante.

http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/03/1632/

pensieri e parole del pizzo catanese

pizzo comune riposto

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Duro colpo alla mafia di Adrano. Clan Scalisi, 36 arresti

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Operazione della Squadra Mobile e del Commissariato di Adrano. TUTTI I NOMI.

ADRANO – Inchiodato uno dei più pericolosi clan del triangolo della morte. La Squadra Mobile di Catania e il Commissariato di Adrano ha sferrato un duro colpo al clan Scalisi, alleato storico dei Laudani di Catania. Sono 36 gli arresti eseguiti dalla polizia su delega della Procura Distrettuale Antimafia di Catania per l’esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare in carcere. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, dei “reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, con l’aggravante di essere l’associazione armata, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e spaccio delle medesime, tentato omicidio, estorsione, rapina, furto, ricettazione, reati in materia di armi, danneggiamento seguito da incendio, con l’aggravante di aver commesso il fatto in nome e per conto dell’associazione di tipo mafioso denominata clan Scalisi e al fine di agevolarne le attività illecite”.VIDEO DEL BLITZ

Una lunga sequela di contestazioni quelle elencate nella prima ordinanza di custodia cautelare che gli uomini della Squadra Mobile di Catania e del Commissariato di Adrano hanno notificato questa mattina agli arrestati finiti in manette. Arrestati anche coloro che sono considerati i vertici dell’organizzazione criminale che semina il terrore nel territorio adranita. A partire da Pippo Scarvaglieri, ritenuto il capo operativo della cosca referente dei Mussi i Ficurinia.Fotografati gli affari illeciti della cosca di Adrano dal novembre 2014 al giugno 2016. (PIZZICATI GLI INCONTRI – VIDEO) Grazie anche ai diversi collaboratori di giustizia è stata ricostruita la gerarchia criminale della cosca adranita che vede ai vertici Giuseppe Scarvaglieri, attualmente detenuto al carcere di Sulmona in regime di alta sicurezza e che aveva sul territorio i suoi uomini più fidati come Giuseppe Mannino, Carmelo Scafidi, Pietro Severino, Pietro Maccarrone, Alfredo Mannino e Vincenzo Biondi (GUARDA IL VIDEO DEL BATTESIMO). “Scarvaglieri ci racconta un collaboratore di giustizia è considerato l’autorità suprema del gruppo”, racconta Antonio Salvago, capo della Squadra Mobile etnea. Il boss nonostante la detenzione riusciva a inviare direttive al clan. Le cimici della polizia registrano in diretta Alfredo Mannino mentre legge una lettera inviata da Scarvaglieri a uno dei tre indagati che risultano al momento irreperibili. Nella missiva indicava precise investiture e in particolare il ruolo al suo “figlioccio”, per gli inquirenti Pietro Maccarrone.

Un’altra figura di vertice è quella di Massimo Di Maria, esponente del gruppo di Paternò dei Laudani, che sarebbe in stretti rapporti con la cosca adranita.L’indagato è coinvolto nell’indagine sull’omicidio di Maurizio Maccarrone commesso ad Adrano il 14 novembre 2014.

Le indagini inoltre hanno permesso di cristallizzare gli accordi tra gli Scalisi e il clan Santangelo, che addirittura sarebbe diventato il fornitore di droga della famiglia oggi azzerata dall’operazione ‘Illegal Duty’.  “Uno scenario completamente nuovo”, evidenzia Salvago.  La malavita di Adrano sta vivendo un momento di forte fibrillazione anche in conseguenza delle pesanti defezioni che si sono registrati negli ultimi anni, quattro i pentiti che stanno raccontando nomi e affari della criminalità organizzata adranita alla magistratura. (GUARDA IL VIDEO SULLA SPARTIZIONE DEI SOLDI)

Il territorio di Adrano sarebbe stato sotto il controllo militare degli Scalisi. (ASCOLTA LE INTERCETTAZIONI) “Dalle intercettazioni emerge che i commercianti per poter vendere i loro prodotti ad Adrano o all’interno del mercato ortofrutticolo dovevano pagare un dazio”, commenta la pm Assunta Musella della Dda di Catania, che ha coordinato l’inchiesta insieme alla pm Alessandra Tasciotti. Mercato delle uova, della carne e anche della macerazione delle arance, questi i settori che sono emersi dalle attività investigative.

L’inchiesta ha ricostruito la carta delle estorsioni del clan. Sono 22 le estorsioni e le tentate estorsioni contestate agli indagati. Chi non pagava o si rifiutava di versare il pizzo era pesantemente minacciato. Davanti alle aziende erano poste delle bottiglie incendiarie (GUARDA IL VIDEO) che “servivano non solo per farsi pagare ma anche per chiedere somme maggiori”, spiega la pm Assunta Musella. Un dato che converge con le risultanze investigative e le rivelazioni dei collaboratori di giustizia. Nel corso delle indagini inoltre sono stati appurati episodi di incendi dolosi ai mezzo di un’attività commerciale. Anche questa risposta al rifiuto di cedere alle intimidazioni. “Ma va rivelato che non ci sono denunce da parte delle vittime”, evidenzia il Questore Giuseppe Gualtieri. “Quindi anche quando c’è resistenza a pagare però non ci si rivolge alle forze di polizia, non so che lettura va dato a questo dato”. “Di forte coltre di omertà” parlano gli investigatori e gli inquirenti. Al momento non risulta nessun indagato per favoreggiamento perché la Procura ha deciso prima di eseguire gli arresti. “E’ una nostra strategia affinché le vittime sapendo che gli indagati sono già in carcere si sentano più tutelati e quindi pronti a collaborare”, evidenzia il Procuratore Carmelo Zuccaro in conferenza stampa. Nel corso delle indagini sono stati sequestrate armi e anche droga.

LA RAPINA E LA FUCILATA. Non solo droga ed estorsioni ma anche rapine e furti anche ai danni di commercianti. In particolare il 14 dicembre 2014 un commando armato ha preso di mira un autocarro Iveco che percorreva una strada in territorio di Santa Maria di Licodia. Il gruppo di rapinatori hanno costretto il conducente  cinese di fermarsi e gli hanno intimato di consegnarli la somma di denaro che probabilmente sapevano avere in possesso. Il cinese ha in un primo momento rifiutato, come risposta i rapinatori hanno sparato un colpo di fucile ferendolo alla coscia sinistra. Il bottino è stato di 200 mila euro. Inoltre gli indagati sono accusati di un furto presso un deposito di slot-machine e si impossessavano di circa 36 mila euro di denaro in contanti, di 15 mila euro di assegni contenuti in due casseforti. Contestate, inoltre, tre furti in abitazione.

IL TENTATO OMICIDIO DI FRANCESCO COCO. La seconda misura cautelare riguarda il tentato omicidio di Francesco Coco (fatto di sangue mai denunciato) commesso l’estate del 2014. Le indagini hanno permesso di ricostruire la dinamica del tentato delitto identificando mandanti e autori materiali, Giuseppe Scarvaglieri avrebbe dato l’ordine mentre Alfredo Nulla e Alessio La Manna sarebbero stati i due che avrebbero sparato. Coco, al momento detenuto, è un elemento di “rango” del clan Scalisi.

TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI - Giuseppe Scarvaglieri detto “Pippu u zoppu” (già detenuto per altra causa), Pietro Maccarrone inteso “Fantozzi o Occhialino” (già detenuto per altra causa), Alfredo Mannino detto “u Caliaru”, Vincenzo Biondi inteso “Enzo Trevi”, Claudio Zermo alias “Ficaruni”, Salvatore Severino detto “u Cunigghiu”, Pietro Severino detto “u Trummutu” (già detenuto per altra causa), Salvatore Di Primo detto “Pisciavinu”, Biagio Mannino inteso “u Caliaru”, Alfredo Bulla soprannominato “a Zotta”, Alessio La Manna, Massimo Merlo (già detenuto per altra causa), Roberto Alongi, Antonino Furnari detto “Ogghiu Vecchiu”, Agatino Leanza, Antonino Leanza soprannominato “Pasticcino”, Carmelo Scafidi detto “Testa Rossa” (già detenuto per altra causa), Nicola Santangelo inteso “Cola a niura), Agatino Perni, Giuseppe Maccarrone, Pietro Castro, Vincenzo Valastro alias “Giraffa o Enzu u lungu”, Vincenzo Pellegriti, Salvatore Scafidi inteso “Testa rossa”, Sebastiano Salicola detto “Sebi”, Giuseppe Sinatra (già detenuto per altra causa), Angelo Bulla detto “a Zotta”, Giuliano Mauro Salamone già Giuliano Mauro Raciti soprannominato “L’indianu”, Angelo Calamato, Pietro Giuseppe Lucifora detto “pietro Diecimila”, Alfio Lo Curlo detto “u Patataru”, Maurizio Amendolia, Alfredo Pinzone, Massimo Di Maria (già detenuto per altra causa) ed Emanuel Bua.

LE 22 ESTORSIONI CONTESTATE: 

1) Estorsione in pregiudizio del titolare di un esercizio commerciale di oggettistica e articoli casalinghi ubicato ad Adrano, costretto a versare una somma periodica a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 300 euro al mese.

2) Tentata estorsione in pregiudizio del titolare di un esercizio commerciale per la vendita di generi alimentari ubicato ad Adrano, nei cui confronti compivano atti idonei a costringerlo al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, segnatamente per il rifiuto opposto dalla vittima.

3) Estorsione in pregiudizio del titolare di un esercizio commerciale di articoli sportivi ubicato ad Adrano, in particolare posizionando di fronte al predetto locale una bottiglia incendiaria a scopo intimidatorio, lo costringevano a consegnare gratuitamente tute sportive a titolo di cd. “pizzo”.

4) Estorsione in pregiudizio del titolare di un esercizio commerciale di profumeria e pelletteria ubicato ad Adrano, costretto al versamento di una somma di denaro a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 150 euro al mese, poi ridotta a circa 100 euro.

5) Tentata estorsione in pregiudizio dei titolari di un bar ubicato ad Adrano nei cui confronti compivano atti idonei a costringerli al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, segnatamente per il rifiuto opposto dalle vittime.

6) Tentata estorsione in pregiudizio dei titolari di un vivaio ubicato ad Adrano, nei cui confronti compivano atti idonei a costringerli al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, segnatamente per il rifiuto opposto dalle vittime.

7) Estorsione in pregiudizio del titolare di una panineria ubicata ad Adrano, costretto al versamento di una somma di denaro a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 100 euro al mese nonchè a consegnare merce senza pagare il corrispettivo dovuto.

8) Tentata estorsione in pregiudizio del titolare di una panineria ubicata ad Adrano, nei cui confronti compivano atti idonei a costringerlo al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, e segnatamente per il rifiuto opposto dalla vittima.

9) Estorsione in pregiudizio del titolare dell’esercizio commerciale di casalinghi, cristallerie e vasellame ubicato ad Adrano, costretto a consegnare merce senza pagare a titolo di cd. “pizzo”.

10) Tentata estorsione in pregiudizio del titolare di una stazione di servizio con annesso bar/ristorante ubicato ad Adrano, nei cui confronti compivano atti idonei a costringerlo al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, segnatamente per il rifiuto opposto dalla vittima.

11) Estorsione in pregiudizio dei titolari della ditta per la vendita di materiale edile ubicata ad Adrano, costretti al versamento di una somma di denaro a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 500 euro al mese.

12) Tentata estorsione in pregiudizio del titolare di un’azienda di lavorazione di prodotti ortofrutticoli ubicata ad Adrano, in particolare appiccando il fuoco agli automezzi della ditta predetta, compivano atti idonei a costringerlo al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, segnatamente per il rifiuto opposto dalla vittima.

13) Estorsione in pregiudizio del titolare di un chiosco ubicato ad Adrano, costretto al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo” pari inizialmente a 300 euro al mese, successivamente ridotta a circa 200 euro al mese.

14) Tentata estorsione in pregiudizio del titolare di una cava ubicata ad Adrano, nei cui confronti compivano atti idonei a costringerli al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà, segnatamente per il rifiuto opposto dalla vittima.

15) Estorsione in pregiudizio del titolare di una ditta per la commercializzazione di uova ubicata a Paternò, costretto dapprima a non esercitare la propria attività di commercializzazione all’ingrosso di uova in Adrano, di fatto estromettendolo dal mercato locale a vantaggio di Maurizio Amendolia, e successivamente lo costringevano a versare una percentuale sulle vendite quale indebito corrispettivo per il recupero di una fetta di mercato pari a circa il 40%.

16) Estorsione in pregiudizio del titolare di una ditta di vendita di materiale per l’agricoltura ubicata ad Adrano, costretto al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 1.000 euro ogni sei mesi.

17) Estorsione in pregiudizio del titolare di una pasticceria ubicata ad Adrano, costretto al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”.

18) Estorsione in pregiudizio del titolare di un esercizio commerciale per la vendita di surgelati e gelati ubicato ad Adrano, costretto al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo” pari inizialmente a 200 euro al mese, successivamente ridotta a 100 euro al mese.

19) Estorsione in pregiudizio del titolare di un negozio di scarpe ubicato ad Adrano, costretto al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 100 euro al mese.

20) Estorsione in pregiudizio del titolare di un esercizio commerciale di vendita di prodotti ortofrutticoli ubicato ad Adrano, costretto al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo” pari a circa 100 euro al mese.

21) Tentata estorsione in pregiudizio del titolare della ditta di piante e fiori ubicata, in particolare collocando di fronte all’esercizio commerciale predetto una bottiglia in plastica contenente liquido infiammabile, compivano atti idonei a costringerlo al versamento di una somma periodica a titolo di cd. “pizzo”, non riuscendo nell’intento per causa indipendente dalla propria volontà.

22) Estorsione in pregiudizio di un imprenditore edile, con ditta ubicata ad Adrano, costretto ad effettuare gratuitamente lavori di ristrutturazione presso l’immobile di proprietà di Pietro Maccarrone per compensare il debito di 10.000 euro del Castorina nei confronti di Angelo Bulla.

(Martedì 11 Luglio 2017 – 07:35)

Antiracket, cambiare si può (si deve)

Locandna tavola rotonda ASAEC“Molti si sono improvvisati paladini dell’antimafia e non c’è stata nessuna valutazione sul loro reale operato. L’antimafia è stata utilizzata più come un brand per fini personali. Si è verificato in Sicilia così come in altre regioni. Tutto questo finisce per creare disdoro all’antimafia vera”, Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione.

Riflessioni simili sono emerse, sul tema della lotta alle estorsioni, nel recente convegno “Progetto per una nuova idea di associazionismo antiracket”, promosso a Catania dall’Associazione Asaec Antiestorsione ‘Libero Grassi’.

Anche in questo caso, l’obiettivo era quello di ridare credibilità all’associazionismo, che dovrebbe rappresentare, ma, purtroppo, non sempre lo ha fatto, un importante collegamento fra coloro che denunciano, le forze dell’ordine e la magistratura.

Non a caso, l’Asaec ha presentato una proposta di legge per modificare i criteri di accesso e di permanenza delle associazioni antiracket nell’albo prefettizio ex l. 44/99.

Attilio BolzoniMolte le presenze istituzionali (fra gli altri, il questore di Catania, i capi della Direzione Investigativa Antimafia e della polizia postale), serrato il confronto, moderato dal giornalista de La Repubblica, Attilio Bolzoni.

Quest’ultimo ha sottolineato che, ancora, “ ci sono troppi silenzi, troppa omertà. Tantissimi spot sui temi dell’antimafia e una lettura del fenomeno ferma a 30 anni fa”.

Il presidente dell’Asaec, Nicola Grassi, ha contrapposto l’antimafia di strada, volontaria, gratuita, composta per la maggior parte da imprenditori che hanno vissuto le medesime vicende estorsive, a quella “retorica, ubbidiente e addomesticata, sottomessa alle benevolenze di funzionari pubblici.

Quest’ultima gode di un fiume incontrollato di denaro e da tempo ha abdicato al suo ruolo di denuncia perché consociativa con i poteri e propensa al carrierismo e agli incarichi”.

Ha sottolineato, inoltre, quanto sia necessario supportare e ‘proteggere’ la prima dai continui attacchi che subisce.

procuratore ZuccaroTema ripreso dal Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, che, partendo dalla constatazione che “mele marce ci sono in tutte le istituzioni”, ha ribadito la necessità di creare filtri più efficaci degli attuali per evitare che su questioni tanto importanti e delicate abbia diritto di parola chi non dovrebbe averlo.

Ha denunciato, in particolare, quanto siano blandi – e perciò inadeguati – gli attuali controlli sulle associazioni che operano in questo campo.

Per superare queste contraddizioni, Nicola Grassi ha proposto di “ritornare allo spirito fondante che ha mosso le prime associazioni antiestorsione negli anni novanta”.

“Per questo – ha proseguito il relatore – la proposta di legge che abbiamo scritto parte da unrelatori tavola rotonda presupposto fondamentale: se l’associazione riuscirà ad essere efficace ed efficiente nella sua azione sul territorio, non avrà alcun problema a superare il controllo effettuato dalle Prefetture per l’iscrizione e/o il mantenimento nella lista dell’Albo prefettizio, che ne dovrebbe garantire l’affidabilità”.

Nella proposta di legge, conseguentemente, si individuano criteri ‘stringenti’ come, ad esempio, il numero di denunce che si risolvano in un rinvio a giudizio e il numero di richieste di accesso al fondo su delega del danneggiato. Così come centrale rimane garantire l’accompagnamento della vittima dal momento della denuncia sino allo sviluppo di tutto l’iter processuale.

“Vogliamo invertire la rotta, ha concluso il Presidente dell’Asaec, le nostre riflessioni hanno dato fastidio a quanti ha fatto dell’attività associativa antiracket una fonte di guadagno, ora sentiamo di essere sulla buona strada.

Ci auguriamo che questa nostra proposta di legge, modificabile e migliorabile, sia accolta dai rappresentanti del potere legislativo che manifestano sensibilità verso questa annosa crisi che attraversa il mondo associativo antiestorsione”.

(argocatania.org, 5 Luglio 2017)

L’attacco del presidente dell’Autorità anti corruzione durante un incontro all’università di Palermo

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Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ospite dell’Università di Palermo, non fa sconti e tocca un tasto dolente degli ultimi mesi della cronaca siciliana: «Molte persone si sono improvvisate paladini dell’antimafia e non c’è stata nessuna valutazione sul loro reale operato. L’antimafia – ha proseguito – è stata utilizzata più come un brand per propri fini personali. Si è verificato in Sicilia così come in altre regioni. Bisogna interrogarsi. Tutto questo finisce per creare disdoro all’antimafia vera».

Il presidente dell’Anc è stato chiamato ad un incontro, insieme al prefetto di Palermo, Antonella De Miro, sulle misure di commissariamento anticorruzione nei confronti delle imprese agli amministratori giudiziari iscritti al Corso di Formazione curato da Giovanni Fiandaca e Costantino Viscontiti

«Se in un Paese c’è un alto tasso di corruzione – ha proseguito Cantone – è normale che gli imprenditori ne tengano conto così come fanno per quando riguarda la burocrazia non particolarmente efficiente. La corruzione limita gli investimenti perché limita la concorrenza». «Sul codice antimafia ho delle perplessità. Sono d’accordo su gran parte della normativa nella forma in cui è stata approvata perché c’è necessità di intervenire sul codice antimafia soprattutto sulla gestione dei beni confiscati. Sicuramente va nella giusta direzione».

«Sono molto perplesso – ha aggiunto – per quanto riguarda l’estensione della normativa antimafia alla corruzione perché credo che si tratti di due istituti diversi e si rischia di snaturare un sistema di prevenzione che ha un suo carattere eccezionale legato alle mafie, credo che sia poco opportuno inserirlo all’interno dell’anticorruzione ma ovviamente è il parlamento a fare le valutazioni». «Il commissariamento degli appalti permette di proseguire i lavori, invece di lasciare i cantieri a metà. Quindi il cantiere va avanti, ma si impedisce al soggetto che corrompe di ottenere un vantaggio dal proprio reato». «L’interesse dello Stato – ha aggiunto – è di ottenere che l’appalto venga portato a conclusione così come quello, anch’esso di natura generale, in base al quale chi ha commesso l’illecito non ne ottenga il profitto».

Il presidente dell’Anac ha sottolineato che «non appena si accertava un illecito, l’appalto si bloccava: serviva allora mettere in campo una idea nuova, che il è commissariamento inteso come un intervento mirato sulla singola commessa».

(laSicilia, 4 Luglio 2017)

Tavola Rotonda: Progetto per una nuova idea di associazionismo antiracket

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“Noi scegliamo l’antimafia di strada, volontaria, gratuita, non sottomessa o consociativa con i poteri, composta per la maggior parte da imprenditori che hanno vissuto le medesime vicende estorsive – dichiara il presidente Nicola Grassi – Servono requisiti molto stringenti per l’iscrizione e la permanenza nell’albo prefettizio. Chi porta risultati concreti può andare avanti, viceversa fuori dall’albo e da quei giri di denaro che non fanno certo la fortuna delle vittime del racket”
“…Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che fa . Contano le azioni e non le parole. Se dovessimo dare credito ai discorsi saremmo tutti bravi e irreprensibili…”( G. Falcone)

ASAEC: I FONDI SI DANNO SOLTANTO A CHI SI BATTE DAVVERO E DENUNCIA